REGGIO EMILIA – Droga, tantissima droga. Fiumi di cocaina, marijuana e hascish ritrovati nelle perquisizioni cui hanno dato vita all’alba 160 militari. Sono stati sequestrati 87 chili di stupefacente, ma secondo le indagini la presunta organizzazione a delinquere ha movimentato qualcosa come 1,7 tonnellate di sostanze, ricavandone decine di milioni di euro parzialmente reimpiegati in 14 società intestate a prestanome e utilizzate anche per mascherare i trasporti di droga attraverso false bolle di accompagnamento, visto che si era in pieno lockdown. A Reggio il cuore del gruppo, perché di Reggio sono le presunte menti italiane della squadra criminale dedita al traffico internazionale. Persone, secondo gli inquirenti, vicine alla ‘ndrangheta di Reggio Calabria e Crotone. Nella nostra provincia sono state eseguite 15 delle 41 ordinanze di custodia cautelare emesse, e tutte in carcere. Molte altre sono state eseguite a Parma, e poi a Bologna, Modena, Milano, Brescia, Livorno, Padova e in Calabria. Le misure sono state disposte dal gip di Bologna Alberto Gamberini in base a indagini durate due anni e condotte dalla Direzione distrettuale antimafia ma coordinate dalla Procura Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, visto che sono emerse convergenze con filoni investigativi delle Procure di Firenze, Potenza e Trento. Gli accertamenti sono stati eseguiti dagli uomini del Nucleo di polizia economico-finanziaria di Bologna, che sono partiti dalla chat della piattaforma criptata Sky Ecc, fino al 2021 utilizzata dai signori della droga prima che fosse smantellata dall’Europol.
La filiera dell’approvvigionamento partiva dai potentissimi cartelli sudamericani di Brasile, Colombia, Perù e Bolivia. Il leader dell’associazione è stato identificato in un soggetto ai vertici della ‘ndrina “Staccu” di San Luca, latitante in Spagna dal 2018 e arrestato a marzo 2021, che tirava le fila al ritmo di carichi da centinaia di chilogrammi al mese di droga. Lo stupefacente giungeva in Europa facendo scalo nei porti di Anversa e Rotterdam. I reggiani e i parmigiani erano i luogotenenti del boss per il mercato italiano.
“In Italia la droga arrivava al porto di Gioia Tauro; c’era un gruppo cinese che provvedeva in tempi velocissimi al pagamento verso il Sudamerica”, chiosa il col. Rainieri. Si tratta del metodo del ‘fei ch’ien’, sistema “informale” di trasferimento di denaro, attraverso il quale il gruppo cinese avrebbe ripulito 5 milioni di euro.
La squadra reggiana del boss latitante della ‘Ndrina di San luca. VIDEO
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