REGGIO EMILIA – Adesso è finita, non è più tempo di ricorsi. I beni dei fratelli Sarcone passano allo Stato. Da questa mattina presto è in atto la confisca definitiva di immobili, denaro e società per un controvalore di 13 milioni di euro nei confronti di Nicolino, Gianluigi, Carmine e Giuseppe Grande, riferimenti del boss Nicolino Grande Aracri sul territorio emiliano, e di altre sei persone della famiglia.
Nell’elenco ci sono 23 dei 40 immobili iniziali tra Bibbiano, il quartier generale della famiglia, Reggio, Vezzano e Montecchio, ma c’è anche un edificio a Cutro; poi i terreni, quattro, per un totale di cinque ettari, sempre nel reggiano ma anche a Perugia e a Crotone; tredici veicoli tra auto, scooter e autocarri, otto società con sedi tra Reggio, Parma e Modena ma pure in Romania, tutte nel settore delle costruzioni e 45 rapporti finanziari con conti anche in Lituania e di nuovo in Romania.
Era il settembre del 2014 quando in via d’urgenza l’allora presidente del Tribunale di Reggio Francesco Maria Caruso, che poi avrebbe presieduto la corte del maxi processo contro la ‘ndrangheta Aemilia, disponeva il sequestro di beni per cinque milioni di euro nei confronti
dei fratelli di Bibbiano ritenuti affiliati alla ‘ndrangheta.
Un’operazione avviata a seguito di una richiesta formulata dal Direttore della Direzione investigativa di Firenze in base ad un’analisi delle infiltrazioni della criminalità organizzata di origine calabrese nei settori imprenditoriali dell’Emilia Romagna. Dopo quello a carico di
Francesco Grande Aracri, fu il secondo provvedimento di quel tipo nel nostro territorio: si cominciava ad attaccare dove poteva fare più male, si cominciava ad attaccare i patrimoni.
Alla fine del gennaio successivo deflagrò l’inchiesta Aemilia e il resto è storia del lavoro degli inquirenti, i carabinieri coordinati da Marco Mescolini e Beatrice Ronchi, e storia, stabilita dalla Cassazione, del radicamento malavitoso nella nostra provincia. Nel giugno 2018 il sequestro di beni per altri 8 milioni, nel giugno di due anni dopo la confisca di primo grado.
Nel febbraio 2021 il sigillo della Suprema Corte e oggi l’esecuzione di quella parola: ‘fine’. I beni, parte dei quali era già stata venduta col
ricavato patrimonializzato a favore dello Stato, su autorizzazione del Procuratore generale Lucia Musti passano all’Agenzia nazionale per
l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata.