REGGIO EMILIA – “Siamo a livello uno che è Aracri, noi siamo leggermente tanto così sotto, all’uno. C’è una parte della ndrangheta che ci consente di fare certe operazioni, autorizzate da loro”. Parlavano così, in una delle tante intercettazioni ambientali, i soggetti di questa frode su vasta scala che, mentre percepivano l’indennità di disoccupazione o i contributi per il Covid, risultavano nullatenenti e postavano sui social la vita dorata e le vacanze nel lusso.
Originari di Cutro, professionisti calabresi e campani, diversi reggiani e altri originari di Foggia. Con l’operazione “Minefield” coordinata dalla procura reggiana e condotta da 350 militari tra carabinieri e guardia di finanza, è stata smantellata un’organizzazione contigua alla criminalità organizzata e che ha riguardato oltre all’Emilia, 8 regioni e 13 province tra le quali Parma e Modena dove avevano anche sede le aziende utilizzate per il vorticoso giro di fatture false. I reati vanno dalla frode fiscale, all’estorsione, al riciclaggio, all’autoriciclaggio, alla bancarotta fraudolenta in settori come l’edilizia, le pulizie, il noleggio auto, il tessile.
Particolarmente sofisticato il meccanismo: i titolari di ditte compiacenti effettuavano bonifici pari all’importo delle fatture ricevute sui conti correnti dalle società in mano all’organizzazione, denaro che veniva riconsegnato agli stessi fruitori delle fatture false assieme a una percentuale del 4-5% . Un vorticoso giro di denaro che transitava fino in Bulgaria, dove le maglie dei controlli sono più larghe per poi tornare in Italia.
La complessa attività d’indagine ha portato a 108 indagati, 81 società coinvolte, 1.140 fatture false per oltre 20 milioni, 15 le misure cautelari di cui 5 in carcere, 7 ai domiciliari, 1 obbligo di dimora e 3 interdittive – di cui due nei confronti di commercialisti di Reggio e Parma e una nei confronti di un imprenditore – per 10 milioni di euro sequestrati, ma il giro d’affari è stimato in 30 milioni di euro oltre al danno allo Stato. Infiltrazioni che alterano il mercato e, ancora una volta, chiamano in causa il tessuto economico reggiano.
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