REGGIO EMILIA – E’ attesa per il tardo pomeriggio di domani, a Bologna, la sentenza del secondo grado del processo contro la ‘ndrangheta Aemilia.
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Era il 19 febbraio. La parola Covid aveva appena iniziato a circolare, la parola pandemia ancora no. L’aula bunker del carcere della Dozza di Bologna, in passato sede di processi celebri come quello sugli omicidi della banda della Uno bianca, riapriva le proprie porte dopo diversi anni per ospitare i 120 imputati ricorrenti in appello secondo rito ordinario, i loro avvocati, le parti civili. Qualche giorno prima aveva preso il via il filone appello dell’abbreviato, con altri 24 imputati.
La sentenza veniva annunciata per giugno. Poi, però, la parola pandemia l’abbiamo conosciuta eccome. Sono arrivate le richieste, ad esempio, di domiciliari da parte di alcuni imputati con la motivazione del rischio Covid in carcere, e la corposa calendarizzazione delle udienze che già all’inizio era stata oggetto di schermaglie tra procura, corte e avvocati è tutta slittata in avanti. Fino ad ora. Sono terminate la requisitoria dell’accusa, frazionata in numerose udienze, le repliche e le controrepliche e a ore arriverà la sentenza di secondo grado del processo contro la ‘ndrangheta Aemilia. L’ipotesi è che la corte, dopo essersi ritirata in camera di consiglio, si esprima nel tardo pomeriggio di domani. Quasi 1.100 gli anni chiesti dall’accusa – i pm Luciana Cicerchia, Valter Giovannini e Lucia Musti -, una sostanziale conferma delle richieste avanzate da Mescolini e Ronchi nel primo grado chiusosi a Reggio il 31 ottobre 2018. Ma in alcuni casi le istanze sono state più alte, come per Augusto Bianchini, imprenditore modenese diventato il simbolo del tessuto emiliano che avrebbe accettato di scendere a patti e di fare affari con la ‘ndrangheta, e per Giuseppe Vertinelli classe ’86.
Ricordiamo che tra coloro che vengono considerati i capi dell’organizzazione malavitosa solo Michele Bolognino aveva scelto il dibattimento e sta quindi adesso attendendo la sentenza d’Appello. Tra i nomi ritenuti di spicco, ci sono anche quelli di Gianluigi Sarcone e di Giuseppe Iaquinta. Nicolino Sarcone, referente in Emilia del boss Nicolino Grande Aracri, aveva scelto, assieme a molti altri, il rito abbreviato già nel 2016: condanne passate in giudicato con la Cassazione nell’ottobre di due anni fa.