REGGIO EMILIA – Il testo è piuttosto sibilino e recita così: “Le operazioni delle trasformazioni per la produzione del latte e prodotti lattiero-caseari possono avere luogo al di fuori delle zone di montagna, purché gli impianti di trasformazione siano situati a una distanza non superiore a 30 km dal confine amministrativo della zona di montagna stesse”.
Fino a ora, quel limite era ristretto a 10 km. Sostanzialmente, il latte munto in un paese del nostro appennino superiore a 600 metri d’altitudine, secondo la nuova normativa potrebbe essere trasformato in un impianto, cioè un caseificio, che dista 30 km dall’allevamento, quindi anche in pianura. C’è, però, chi legge la norma in altro modo. Tra questi, il presidente del consorzio del Parmigiano-Reggiano, Nicola Bertinelli, il quale precisa che con la parola “trasformazione” non si deve intendere la lavorazione in caseificio, ma piuttosto la stagionatura.
In montagna non ci sono magazzini sufficienti per consentire il ricovero delle forme: quindi, è molto positiva la nuova norma che permette al formaggio di montagna di stagionare in caseifici non collocati in Appennino. Se però per “trasformazione in impianti distanti fino a 30 km” si intende anche il lavoro che sul latte viene prodotto in caseificio, allora le cose sarebbero diverse perché il foraggio date alle vacche sarebbe quello di montagna, ma poi il latte sarebbe trasportato in pianura e lì trasformato in formaggio.
Probabilmente, sarà proprio il disciplinare del consorzio a chiarire ogni dubbio: stagionatura in pianura sì, lavorazione in caseificio del latte soltanto in montagna.
Reggio Emilia Parmigiano Reggiano di Montagna Consorzio Parmigiano Reggiano Nicola Bertinelli