REGGIO EMILIA – Due fendenti, entrambi alla gola. Juana Cecilia Loayza è morta a causa di due ferite inferte con un coltello lungo oltre 20 centimetri. Un coltello che Mirko Genco ha preso dall’appartamento della sua vittima mentre la donna era semincosciente al parco, dopo il tentativo di strangolamento.
Emerge questo dall’autopsia eseguita nelle ultime ore sul corpo della giovane donna peruviana uccisa dall’ex compagno una settimana fa. Ed emergerebbero anche altri elementi che confermano l’ipotesi accusatoria, che oltre che di omicidio volontario aggravato parla di violenza sessuale perpetrata dal 24enne di Parma. “L’unico modo per proteggere la collettività da una personalità del genere è mantenere Genco in carcere”, scrive nell’ordinanza di applicazione della custodia cautelare il giudice Silvia Guareschi secondo la quale, se in libertà, l’assassino reo confesso potrebbe uccidere ancora. “In lui spiccano impulsi contrastanti e imprevedibili”, scrive il gip.
Nel racconto fiume fatto agli inquirenti, Genco definisce Juana Cecilia “la donna della mia vita”. L’uomo riferisce di effusioni, ma le immagini delle telecamere di videosorveglianza lo smentiscono. Juana Cecilia respinge più volte i suoi approcci durante il tragitto da via Caggiati lungo via Emilia San Pietro fino a piazza del Tricolore. Quella sera Genco, mentre parte da Parma e arriva a Reggio Emilia in taxi, telefona alla donna 14 volte tra le 23.45 e l’1.41. Lei non risponde mai. Genco la raggiunge in un locale, mentre l’amico con cui Juana Cecilia stava trascorrendo la serata in centro si trova nel bagno. Da lì scatta la registrazione audio, che termina dopo il tentativo di strangolamento.
Non scenderemo nei dettagli, perché non cambiano la sostanza e perché riteniamo che non sia giusto nei confronti della vittima e della sua famiglia. A ogni modo, da questi oltre 50 minuti di registrazione è chiaro che Juana Cecilia rifiuti gli approcci. Per il gip, la morte non fa venir meno le esigenze cautelari: “L’omicidio – scrive – è la manifestazione di una personalità capace di esprimersi ancora a fronte di occasioni non difficilmente verificabili”. Secondo il sostituto procuratore Maria Rita Pantani non si deve incorrere nell’errore della “psichiatrizzazione
dell’indagato”.