REGGIO EMILIA – Una netta sproporzione tra i redditi dichiarati e il patrimonio accumulato. Questa la motivazione alla base del provvedimento di sequestro di beni per complessivi 10 milioni di euro disposto nel decreto emesso dalla sezione misure di prevenzione del tribunale di Bologna su proposta del direttore della Dia ed eseguito dalla stessa Direzione Investigativa Antimafia.
Due società del settore dell’edilizia, numerosi conti correnti, due auto e 71 immobili, soprattutto appartamenti e la maggior parte a Reggio Emilia, altri a Brescia e Crotone. Tutte proprietà riconducibili a Giuseppe Iaquinta, 63 anni originario di Cutro, imprenditore e padre dell’ex calciatore di Juventus e nazionale Vincenzo Iaquinta, campione del mondo nel 2006.
Entrambi erano finiti nelle maglie del processo Aemillia contro la ‘ndrangheta: l’ex calciatore, 42 anni, era stato condannato a due anni per reati di armi con la sospensione condizionale (assolto per l’associazione mafiosa). Condanna poi confermata dalla Cassazione. Il padre era invece stato raggiunto da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nel gennaio 2015, poi condannato nel 2018 dal tribunale di Reggio Emilia a 19 anni di reclusione per associazione mafiosa e detenzione illegale di armi e munizioni. La pena è stata successivamente rideterminata, in sede di appello, a 13 anni. L’uomo sta scontando la pena nel carcere di Voghera.
Il ruolo di Giuseppe Iaquinta, secondo le indagini svolte sotto la direzione della Dia di Bologna e supportate dalle testimonianze di diversi collaboratori di giustizia, era quello di volto pubblico dell’associazione mafiosa, attraverso il suo ruolo di imprenditore in grado di fungere da chiave di accesso negli ambienti dell’ imprenditoria e delle istituzioni. Nel 2015 il tribunale reggiano aveva dichiarato fallita la Iaquinta costruzioni srl di Reggiolo, ora il sequestro di questo ingente patrimonio e sul quale hanno lavorato oltre 30 uomini della Dia bolognese.
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