REGGIO EMILIA – Gli inquirenti lo vanno dicendo da anni: la cosa più importante nella lotta alla ‘ndrangheta è colpire i patrimoni. In questo senso, quella delle ultime ore la considerano la vera vittoria. La vittoria però della penultima battaglia, perchè parliamo di confisca di primo grado, contro cui potrà essere presentato ancora ricorso alla Corte d’Appello di Bologna.
E’ quindi il tassello appena precedente al passaggio definitivo dei beni dei Sarcone allo Stato e in questo caso parliamo di beni per 13 milioni di euro in terreni e fabbicati (quaranta unità), società (una decina), conti correnti e autoveicoli, da Bibbiano a Montecchio a Vezzano, da Modena a Parma a Perugia a Crotone. “Il valore simbolico è forte, visto che è la famiglia ritenuta punto di riferimento della cosca Grande Aracri in territorio emiliano, e il passaggio è importantissimo perché spesso i cittadini si chiedono cosa succeda ai beni sequestrati”, le parole del tenente colonnello Edoardo Marzocchi della Dia di Firenze. I suoi uomini, assieme ai carabinieri di Modena, alla Dia di Bologna, all’Arma di Reggio Emilia e di Crotone, coordinati dalla Dda di Bologna, da due giorni stanno notificando provvedimenti, trascrivendo atti, comunicando la confisca alle banche, interrompendo comunicazioni.
Notifiche che sono state fatte anche a sette persone, molte della famiglia, ritenute in gergo tecnico “terzi interessati”, ovvero dei prestanome. Ma i destinatari principali della confisca sono quattro, i quattro fratelli Sarcone: Nicolino, Gianluigi e Carmine hanno saputo della cosa in carcere, Giuseppe Grande Sarcone ha ricevuto gli atti a Reggio Emilia, dove risiede e dove è obbligato a continuare a risiedere per i prossimi cinque anni. Per tutti e quattro infatti c’è anche la misura di prevenzione personale della sorveglianza di pubblica sicurezza che li obbliga a rimanere per un lustro nel comune di residenza. Tra gli edifici confiscati, la casa dei Sarcone a Bibbiano, in cui la famiglia comunque può continuare ad abitare al netto del ricorso contro la confisca.
Nel settembre 2014 il primo sequestro d’urgenza disposto dal tribunale reggiano per 5 milioni di beni. Nel gennaio successivo, l’operazione Aemilia e il processo. Gianluigi è stato condannato in primo grado e ora attende l’esito del giudizio d’Appello; Nicolino, che aveva scelto il rito abbreviato, è stato condannato in via definitiva dalla Cassazione; Carmine, indicato dai pentiti come il “nuovo che avanza” della ‘ndrangheta emiliana, un anno fa è stato condannato dal gup di Bologna per associazione a delinquere di stampo mafioso dopo essere stato arrestato a Cutro. A giugno 2018 un altro sequestro, col blocco di beni per un corrispettivo di 8 milioni. I sigilli erano stati messi, ad esempio, alla società Le due Torri Srl di Reggio Emilia e alla lavanderia Arcobaleno di Montecchio, alla Edilpiù Srl che aveva sede a Modena e che adesso ce l’ha a Parma, ma anche a ditte e conti bancari in Bulgaria e Romania.
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