REGGIO EMILIA – Il 5 settembre, nel corso del primo arresto per atti persecutori nei confronti di Juana Cecilia Hazana, sua ex compagna da pochi giorni, Mirko Genco venne portato al pronto soccorso. Si era finto un operatore della Caritas e si era fatto aprire dai condomini di via Melato. Cercava la donna che continuava a tormentare. Era stato bloccato e arrestato nell’androne. Era in completo stato confusionale e in preda a una forte ansia: da lì la visita medica. Il medico che lo aveva visitato non lo aveva però considerato affetto da disturbi psicopatologici e questo aveva scritto nel referto. Anche in udienza, durante il processo culminato con la sentenza di patteggiamento a due anni pena sospesa, Genco non ha mai mostrato segnali di pericolosità. Era incensurato, e si era mostrato consapevole degli errori commessi. L’elemento necessario per poter avere la condizionale della pena era la frequentazione di un percorso terapeutico. Mentre la deputata del movimento 5 stelle Stefania Ascari, membro della commissione giustizia, annuncia di aver presentato un’interrogazione parlamentare al ministro per la Giustizia Marta Cartabia “per chiedere di fare verifiche in merito alla concessione della sospensione condizionale di pena a Genco”, la presidente del tribunale di Reggio Cristina Beretti all’Ansa chiarisce come “quanto accaduto non è altro che ciò che accade in decine e decine di processi per reati analoghi. Un giudice non ha poteri di chiaroveggenza, non può sapere ciò che accadrà dopo, stante la imprevedibilità delle reazioni umane“.
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