REGGIO EMILIA – Natalia Maramotti, già assessore del Comune di Reggio ed ex presidente di Destinazione Turistica Emilia, da sempre impegnata per la parità di genere e per la tutela delle donne, ha intervistato per noi Daniela Isetti, vicepresidente nazionale della Federazione di ciclismo.
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Partiamo da una constatazione, che la corsa delle donne per essere incluse nel mondo rigidamente maschile dello sport sia stata e sia irta di ostacoli, ce lo racconta la storia.
Si parte da Pierre De Coubertin, padre dell’olimpismo moderno, che considera lo sport femminile impraticabile, non interessante, antiestetico e incoerente, passando per una certa resistenza del movimento operaio, agli albori del 900, rispetto alla pratica sportiva e arrivando ai contrasti tra gerarchie ecclesiastiche e fascismo. Quest’ultimo infatti stabilì un legame strumentale tra la pratica sportiva delle donne e le sue politiche demografiche ed eugenetiche, contando sui benefici fisici prodotti dalla attività sportiva per avere donne più forti e dunque più prolifiche.
Sono solo accenni a una storia , dicevamo, travagliata.
Ma arriviamo a te, Daniela, prima donna nella storia del ciclismo a ricoprire il ruolo di vice presidente della FCI, ossia della Federazione Ciclistica Italiana.
Da dove nasce la passione per uno sport incarnato al maschile? Forse dipende da un’aria respirata in famiglia?
“La passione nasce certamente in famiglia, con mio padre prima Giudice di Gara e poi organizzatore di gare e di team agonistici e con mia madre che fu una delle primissime donne ad acquisire l’abilitazione di direttore sportivo (tecnico di ciclismo). Le due passioni si sono sommate in me, parrebbe: dopo una esperienza agonistica (senza particolari risultati), sono passata a collaborare con il comitato regionale emiliano romagnolo, prima come addetto stampa per arrivar poi e ad esserne vice presidente. Successivamente l’approdo in consiglio federale, come consigliere in rappresentanza dei tecnici e da due mandati sono vice presidente vicario nazionale. Sono anche consigliere nazionale Coni, sempre in rappresentanza dei tecnici: esperienze che si sono arricchite negli anni anche attraverso la partecipazione a commissioni o gruppi di lavoro , in particolare con la Scuola dello Sport”.
A partire da Florinda Parenti, reggiana di nascita, poi emigrata a Bruxelles con la famiglia, parmigiana di adozione, tante sono le campionesse di ciclismo. Chi conosce i loro nomi? C’è secondo te l’esigenza di valorizzare la storia delle donne nello sport, nel ciclismo in particolare per favorire la scelta di questa disciplina da parte delle ragazze?
“La storia del ciclismo femminile ci ha consegnato tanti bellissimi racconti. Donne volitive, appassionate, prima pioniere ed oggi donne che sanno vincere proiettate verso un futuro sempre più ‘avido’ di biciclette: dell’ uso della bicicletta si parla nelle disquisizioni sulla mobilità alternativa, sulla tutela dell’ambiente, sul turismo sportivo e la mobilità lenta. Della storia del ciclismo femminile ne parla, con dovizia di particolari, Antonella Stelitano, nel suo libro “Donne in bicicletta” . Dalla prima medaglia ai mondiali di Morena Tartagni, terza ad Imola nel 1968 (dove vinse il titolo Vittorio Adorni), al primo campionato del mondo su strada vinto da una italiana, con Alessandra Cappellotto a San Sebastian nel 1997 (oggi Alessandra è vice presidente di ACCPI , il sindacato dei corridori professionisti e delle donne elite) , ai due ori olimpici nella MTB di Paola Pezzo, siamo arrivati ai campionati del mondo conquistati dalle azzurre su strada ed in pista in questi ultimi anni, oltre ai titoli continentali. Le tesserate nelle varie categorie sono mediamente il 15% dei tesserati maschi delle rispettive categorie: la promozione per noi è molto importante a soprattutto nelle fasce giovanili incentiviamo le attività femminili. Avvicinarsi allo sport del ciclismo significa per i più giovani affrontare paesaggi diversi, sentire il vento in faccia per la velocità nelle discese, imparare una disciplina con le sue regole. Le ragazze sono sempre più attratte da questa idea di libertà che la bici regala ad ognuno.
A proposito del ciclismo e della misoginia nello sport, lo sapevi che nel 1975, negli anni del femminismo e delle rivendicazioni delle donne, viene firmato dal Ministero un decreto che vieta alle donne 19 attività sportive, tra le quali anche il ciclismo; le altre erano baseball, bob, bocce, calcio, canottaggio, hockey su ghiaccio e su pista, lotta libera e greco-romana, maratona, marcia ,motociclismo su pista, pentathlon moderno, rugby e mini rugby, spada e sciabola, sollevamento pesi e vela. La tua esperienza si svolge molti anni dopo, ma puoi dire di avere subito o visto subire comportamenti misogini e discriminatori?
“Nel volume che ho citato prima, ‘Donne in bicicletta’, la Stelitano ha raccolto anche episodi discriminatori e poco eleganti nei confronti delle donne che, nel corso dei primi anni della storia del ciclismo femminile, si sono cimentate in questo sport. Oggi le nostre azzurre sanno conquistare medaglie tanto ed a volte più dei colleghi maschi. Discriminare oggi significa non saper accettare il confronto ed il dialogo e purtroppo questo ancora accade, anche se davvero in misura decisamente inferiore agli anni passati. Di certo per una donna è più difficile raggiungere posizioni di rilievo nella politica sportiva, ma sappiamo lavorare con costanza ed impegno e questo viene recepito.
Va ricordato che nel 2018 il CONI ha introdotto i principi fondamentali per gli statuti delle federazioni nazionali e delle Discipline associate, tra cui il fatto che gli statuti devono garantire la presenza di componenti di genere diverso nei Consigli federali in misura non inferiore ad 1/3.
E’ inoltre prevista la tutela sportiva delle atlete in maternità: ‘Gli statuti delle Federazioni Sportive Nazionali e delle Discipline Sportive Associate devono garantire la tutela della posizione sportiva delle atlete madri in attività per tutto il periodo della maternità fino al loro rientro all’attività agonistica’”.
Di cosa ti occupi principalmente in Federciclismo?
“Seguo in particolare l’attività di base e delle categorie giovanili. Mi sono interessata di un progetto di armonizzazione delle attività nei 24 velodromi attivi sul territorio italiano, ritendo l’attività su pista una scuola fondamentale. Stiamo sviluppando proposte peer accrescere le potenzialità delle nostri 144 scuole di ciclismo, che dovranno diventare dei veri e propri centri di servizi per i giovani e le famiglie. Avviamento allo sport per i più giovani ma anche attenzione alle esigenze sportive dei genitori, insegnando, ad esempio, il corretto utilizzo delle ebike oppure, attraverso le nostre guide cicloturistiche sportive, organizzazione di piccoli viaggi per i turisti, alla scoperta dei territori.
Un altro ambito che seguo da diversi anni è quello della formazione, attraverso il Centro Studi Federale : un sistema articolato di corsi per tecnici e per tutte le figure professionali che operano nel nostro mondo ; docenti ed istruttori di spessore per dare sempre prodotti con contenuti aggiornati dall’esperienza che ci deriva dall’alto livello.
In particolare, molta soddisfazione arriva dalle proposte formative pensate e realizzate per gli atleti durante il lockdown: è stato un successo ma soprattutto una soddisfazione il poter dare, attraverso l’erogazione di corsi di primo e secondo livello tecnici, un servizio ai nostri atleti ed atlete in un periodo così difficile. Alla luce di questo, abbiamo deciso di rilanciare, a fronte del gradimento espresso dagli partecipanti e dalla loro richiesta di poter usufruire di altri corsi; in un contesto di offerta formativa per gli atleti in attività che guardano anche al dopo carriera. Gli uffici del centro Studi sono stati chiamati ad un importante impegno allestendo ben 13 classi nella prima fase, per un totale di oltre 700 ore di formazione erogate, per poter assicurare il rapporto tra discenti e docenti; ora riprendiamo con tre classi per un totale di circa 200 ore. Il rapporto che si è creato con questi atleti fa ben sperare per il futuro e le loro percezioni e consigli rappresentano per noi una ulteriore fonte di crescita nel solco tracciato dello sviluppo della didattica a distanza. Inoltre non dimentichiamo che questi corsi rivolti agli atleti si sommano alle proposte legate al LIBRETTO DELLA FORMAZIONE, a cui possono accedere anche gli atleti che hanno smesso l’attività negli ultimi due anni, usufruendo di facilitazioni per l’accesso ai corsi per tecnici”.
Natalia Maramotti
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