BOLOGNA – L’allarme, lanciato da associazioni e organizzazioni no profit, è risuonato più volte a partire dal 2017, quando il Governo varò la riforma del terzo settore.
Appesantimenti e incombenze burocratiche tali da drenare tempo ed energie, questi gli ingredienti indigesti secondo gli addetti ai lavori. In loro aiuto va ora un’altra riforma, di livello regionale, varata dall’assemblea legislativa dell’Emilia Romagna. Si tratta della prima legge di iniziativa assembleare approvata in questa legislatura. “Cambia alcune cose: semplifica la vita degli enti del terzo settore, in alcuni aspetti, come l’urbanistica, e nelle modalità di trasmissione degli atti alla pubblica amministrazione”, ha spiegato Federico Amico, capogruppo di Emilia Romagna Coraggiosa.
Amico è il primo firmatario della legge che, tra le altre cose, indica delle linee guida sulla cosiddetta “amministrazione condivisa”, ovvero il perimetro all’interno del quale associazioni, cooperative e onlus condividono con gli enti pubblici poteri e responsabilità. Un quadro di riferimento che nasce da due anni di confronti tra associazioni, amministratori pubblici e portatori di interessi. Tra i punti di forza, l’istituzione di un osservatorio regionale e del Consiglio regionale del terzo settore. Introdotto, quest’ultimo, in sostituzione della conferenza del terzo settore, sarà aperto a soggetti finora esclusi come i centri di servizio del volontariato e le fondazioni di origine bancaria.
La nuova norma stanzia, inoltre, un milione e mezzo di risorse all’anno, da qui alla fine della legislatura, destinate a progetti messi in campo dagli enti pubblici assieme alle realtà senza scopo di lucro.
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