BOLOGNA – Difficoltà a conciliare lavoro con figli o con servizi di cura e impossibilità di svolgere il part-time. Sono soprattutto queste le ragioni dietro alle quasi 3mila dimissioni delle donne in Emilia-Romagna nel 2020. In questo quadro purtroppo non originale si innestano gli effetti della pandemia. In regione le dimissioni dal lavoro sono state complessivamente 4174 e di queste 2.984 hanno riguardato le donne. È vero che il numero è sceso rispetto al 2019, ma balza agli occhi come il dato dimissionario riguardi le lavoratrici madri nel 71% dei casi, dato in aumento rispetto all’anno precedente. Insomma, nel 2020 circa i due terzi di chi ha lasciato volontariamente il lavoro per inconciliabilità con la famiglia riguarda le donne, nella maggior parte dei casi con figli. Per i padri lavoratori infatti la scelta è legata al cambio di azienda (957 uomini contro 896 donne).
I dati sono stati illustrati in una conferenza stampa in regione, ed emergono dallo studio tracciato dall’Ispettorato interregionale del lavoro del Nord Est in un anno in cui il mercato è stato particolarmente penalizzato dalla pandemia.
Numeri a parte è un quadro che continua a confermare la difficoltà a conciliare lavoro e vita familiare, chiaramente spesso sulle spalle delle donne, obbligate a fare delle scelte estreme. Un quadro che mostra il fallimento delle politiche per favorire la conciliazione, ancora lontane dall’essere messe in pratica, così come ha anche evidenziato la presidente dell’Assemblea legislativa Emma Petitti che chiede di aprire una discussione approfondita con le associazioni di categoria per capire a che punto siamo nella nostra regione e dove vogliamo andare, in un momento in cui la pandemia ha cambiato il modo di gestire il lavoro, dimostrando che le buone pratiche si possono conservare e valorizzare, con gli opportuni aggiustamenti per farle diventare strutturali. La sfida è infatti ripensare all’impiego e alle forme di organizzazione per tutti, donne e uomini.
Il servizio è di Riccarda Riccò