REGGIO EMILIA – Cecilia Robustelli si è laureata con lode in lettere classiche all’Università di Pisa con una tesi in Glottologia e si è perfezionata in Linguistica Italiana (Master e PhD) all’Università di Reading con borse di studio dell’Accademia dei Lincei-British Academy e del CNR. Ha svolto attività scientifica e didattica in Inghilterra (Londra Royal Holloway e Cambridge) e negli Stati Uniti come Fulbright Visiting Scholar (Cornell University).
È professoressa ordinaria di Linguistica Italiana e presta servizio nel Dipartimento di Studi Linguistici e Culturali dell’Università di Modena e Reggio Emilia per il Corso di Laurea in Lingue e Culture Europee e il corso di Laurea Magistrale in Lingue per la comunicazione nell’impresa e nelle organizzazioni internazionali. Nel Michaelmas Term 2016 è stata Visiting Fellow presso Trinity Hall, Oxford, e Visiting Professor nella Faculty of Linguistics,Philology and Phonetics, University of Oxford. Partecipa a progetti e reti di ricerca nazionali e internazionali, fa parte dell’Advisory Board delle riviste Gender/Sexuality/Italy e Lingue e culture dei media (Unimi), è responsabile di scambi Erasmus con le università di Bergen, Copenhagen, Lubiana e Varsavia. Ricopre incarichi istituzionali in dipartimento e in Ateneo, dove è componente del CUG. Svolge un’intensa attività di terza missione (partecipazione Festival, incontri, programmi RAI). I suoi interessi di ricerca, documentati da più di novanta pubblicazioni, tra cui una grammatica di riferimento della lingua italiana (Maiden M.,Robustelli C., A Reference Grammar of Modern Italian, London, Routledge, 2007) vertono su teoria e modelli di descrizione della grammatica; storia della grammatica ed elaborazione della norma dell’italiano nel Cinque e nel Seicento; politica linguistica europea e ruolo dell’italiano nelle istituzioni della Ue; lingua e genere nella comunicazione quotidiana e istituzionale e nell’interazione essere umano-robot. Dal 2000 collabora con l’Accademia della Crusca sui seguenti temi: la politica linguistica italiana in Europa, come rappresentante dell’Accademia nella European Federation of National Institutions for Languages (EFNIL) e componente del Gruppo di Esperti della Rete di Eccellenza dell’Italiano Istituzionale (REI) istituito presso la Direzione generale della Traduzione (DGT) della Commissione europea, nel quale coordina il gruppo di lavoro Parità di genere; l’Osservatorio sugli Italianismi nel Mondo (OIM); il linguaggio amministrativo, come presidente dell’Associazione per la Qualità degli Atti Amministrativi presso l’Istituto di Teoria e Tecniche dell’Informazione Giuridica di Firenze; il linguaggio di genere, tema sul quale ha coordinato progetti e tenuto corsi di formazione. È stata responsabile dell’Unità di Modena nel progetto FIRB VIVIT – VIVI ITALIANO coordinato dall’Accademia. Ha collaborato con le istituzioni nazionali (Presidenza del Consiglio dei Ministri, Camera dei deputati, MIUR) come consulente nel Gruppo Esperti di genere presso la Commissione Nazionale Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri; nel Tavolo Tecnico per l’elaborazione delle linee guida per l’attuazione del c.16, art.1 della L.107/2015 presso il MIUR; nel Comitato Tecnico Progetto Changing Relationships through Education and Awareness Towards ending Violence against Women (CREATIVE), Programma di finanziamento Rights,Equality and Citizenship (REC) 2014-2020 della Commissione Europea, Dip. PO. Ha coordinato il Gruppo di Lavoro per il rispetto del genere nella comunicazione istituzionale costituito presso il MIUR con DM 19 luglio 2017, n. 508 che il 7 marzo 2018 ha presentato le Linee guida per il rispetto del genere nel linguaggio istituzionale del MIUR. Ha fatto parte del Comitato scientifico del progetto Nel mezzo del cammin di nostra scuola ideato dalla Società Dante Alighieri (2018). È vicepresidente della Fondazione Piaggio.
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Quanto credi che i tuoi studi abbiano influito nella costruzione della tua coscienza di genere?
“Molto, a partire dagli studi classici che mi hanno portato fin da adolescente a confrontarmi con le grandi lingue dell’antichità, latino e greco, a conoscerne il lessico, la grammatica, i meccanismi della comparazione, ma anche le modalità con le quali le singole culture si riflettono nelle rispettive lingue, e quanto la lingua possa risentire della simbolizzazione della realtà extralinguistica. Lingua e cultura, un circuito perfetto”.
Le parole sono importanti, una linguista lo sa. Quando la tua competenza professionale ha incrociato la critica al maschilismo nel linguaggio? C’è stata una ragione particolare?
“Negli anni in cui vivevo in Inghilterra erano già presenti nelle università inglesi gli Women’s Studies, nati sulla scia del pensiero di studiose femministe inglesi, francesi e statunitensi. Nel mio dipartimento erano attivi insegnamenti in questo campo, ma anche, alla luce di quel faro che continuava ad essere Virginia Woolf, studi e ricerche di di taglio soprattutto letterario sull’identità, la soggettività, lo specifico femminile. Io mi occupavo di linguistica storica e teorica, ma vivevo in un humus culturale impregnato di femminismo. Il professore con cui lavoravo, Giulio Lepschy, mi parlò del lavoro di Alma Sabatini Il sessismo nella lingua italiana, appena pubblicato (1987), del quale aveva scritto una recensione in cui rifletteva sulle sue proposte concrete alla luce della linguistica generale e teorica. Le lunghe discussioni con lui mi aprirono il mondo del rapporto fra linguaggio, pensiero e realtà. Quando, anni dopo, rientrai in Italia e cominciai a collaborare con l’Accademia della Crusca, il presidente di allora, Francesco Sabatini, che di quel lavoro aveva scritto la prefazione, mi propose di studiare il sessismo linguistico e di scrivere un articolo sul rapporto tra lingua, linguaggio e genere per il progetto Polite (Pari Opportunità e Libri di Testo). Cominciò tutto così, con un approccio rigorosamente scientifico alla questione, lo stesso che ho sempre cercato di mantenere”.
Mi attribuisco la responsabilità, insieme alla collega di allora Donatella Ferrari, in qualità di Consigliera di Parità, di avere aperto il dibattito a Reggio Emilia, come soggetto istituzionale, sul linguaggio sessuato nel lontano 2007, quando ti invitammo ad un incontro pubblico. Ci eravamo rese conto di quanto il linguaggio anche nei luoghi di lavoro avesse una potenziale valenza discriminatoria. Accanto alle molestie verbali, vere e proprie, nei racconti delle donne che si rivolgevano al ns. sportello c’erano molte molestie morali. “Sei una bella gallinella”: così in capo ufficio commentava gli errori di una neo assunta, che però raccontava questo come una forma di benevolo rimbrotto.
Hai fatto parte del Tavolo tecnico promosso dal MIUR con il quale sono state elaborate linee guida per promuovere nelle scuole la parità di genere e la non discriminazione in adempimento della legge 107/2015, la cosiddetta “Legge sulla Buona Scuola”. Sai se sono scaturite iniziative concrete grazie al vostro lavoro?
“Le Linee Guida Nazionali (art. 1 comma 16 L. 107/2015) Educare al rispetto: per la parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le forme di discriminazione, così come le Linee di orientamento per la prevenzione e il contrasto del cyberbullismo nelle scuole, facevano parte del Piano nazionale per l’educazione al rispetto del MIUR, promosso dalla Ministra Fedeli, e finalizzato a promuovere in tutte le scuole d’Italia una serie di azioni educative e formative tese alla promozione dei valori sanciti dall’art. 3 della Costituzione. Furono presentate nell’ottobre 2017, recepite da tutti gli Uffici scolastici regionali e considerati negli atti di indirizzo per la predisposizione dell’offerta formativa. Da lì hanno preso il via iniziative educative didattiche nelle singole scuole che hanno visto l’organizzazione e la partecipazione attiva di studenti e docenti a progetti, concorsi, questionari. Peccato che dopo l’avvio del Piano Nazionale da parte della Ministra Fedeli i temi dell’educazione al rispetto sembrino finiti in una zona d’ombra del MI. Ma sono certa che i suoi effetti siano ancora vivi nelle istituzioni scolastiche”.
In occasione dell’iniziativa organizzata dall’Università di Modena e Reggio, della quale sei docente, per il 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza maschile contro le donne, hai avuto modo di parlare, a partire dal rapporto tra linguaggio sessuato ed Istituzioni pubbliche, di politica linguistica e di vere proprie azioni di pianificazione linguistica. Puoi riprendere questo tema davvero nodale?
“Ho ripercorso le indicazioni fornite dalle istituzioni, a partire dagli anni Settanta, che riguardano l’uso del linguaggio sessuato e che si colgono soprattutto nella documentazione a sostegno delle iniziative finalizzate alle politiche di parità fra donne e uomini. Un punto nodale è stata la rilettura del concetto di parità che si è riflesso anche sull’uso della lingua: da parità intesa come omologazione al modello maschile si è passati a parità nel riconoscimento delle differenze tra donne e uomini. Se la prima interpretazione richiedeva l’uso dei termini di genere grammaticale maschile anche in riferimento alle donne, quando si trattava di ruoli professionali o istituzionali di prestigio, per esempio direttore generale o ministro, la seconda introduce l’uso anche dei termini femminili proprio come strumento di riconoscimento e valorizzazione delle differenze in un’ottica di parità. E oggi il linguaggio, grazie alla Convenzione di Istanbul che include tra le forme di violenza anche quella psicologica, è considerato anche uno strumento di violenza di genere, reato ormai contemplato anche dalla nostra giurisprudenza. Quindi anche se non si può parlare di vera e propria politica linguistica nazionale in tema di linguaggio sessista, è comunque possibile ricostruire un percorso che va in direzione di un uso della lingua che garantisca la parità fra i sessi. E ricordiamo che il primo studio sull’uso del linguaggio sessista in Italia, Il sessismo nella lingua italiana di Alma Sabatini, fu pubblicato nel 1987 dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri. E questo ha un significato da non dimenticare”.
Spesso sono anche le donne a contrastare l’uso del linguaggio sessuato. Ne ho fatto personale esperienza. Nel 2014 in occasione della mia seconda investitura amministrativa sottoposi alle mie giovani colleghe di allora l’opportunità di condividere la mia posizione , che aveva originato tante ironie 5 anni prima: proposi che non solo io, ma tutte noi, ci definissimo “assessora” e usassimo il linguaggio sessuato. Mi risposero secondo le più classiche controdeduzioni: “suona male, poi le cariche sono…. maschili”. Pensi che queste risposte siano l’espressione inconsapevole di modelli mentali e comportamentali funzionali al potere maschile?
“Sì, l’immagine mentale della persona che svolge professioni o detiene ruoli di prestigio è ancora quella di un uomo. Ma l’esitazione nei confronti dei termini femminili è anche il risultato di vecchie abitudini linguistiche dure a morire. Se i media adottassero con più coerenza questi termini probabilmente la loro diffusione sarebbe più facile. Io stessa ho scritto anni fa un volumetto, Donne grammatica e media, per contribuire alla loro circolazione e spiegare le ragioni del loro uso. Oggi si può scaricare gratuitamente dal sito dell’Accademia della Crusca“.
E infine aderire al linguaggio sessuato equivale a essere etichettata come “femminista”; nel nostro Paese è uno svantaggio, le donne che fanno politica lo sanno bene. Dunque ti domando: sei femminista?
“Sì, certamente, senza se e senza ma”.
Natalia Maramotti