REGGIO EMILIA – C’era un luogo dove le donne impegnate nelle istituzioni, nel lavoro e nelle professioni si incontravano: era il Forum delle donne della Provincia di Reggio Emilia. Forse era il 2003, o giù di lì, incominciai a frequentarlo nel ruolo istituzionale di Consigliera di Parità di Reggio Emilia. Fu in quelle occasioni che imparai a conoscere Ione Bartoli. Una donna minuta, già allora ampiamente matura come testimoniavano i suoi capelli bianchi ma soprattutto la sua autorevolezza, il suo fare garbato ma potente.
E’ una coincidenza storica positiva per le donne al potere, almeno fuori dall’Italia quella attuale; l’ultima della serie è Kamala Harris, la neo vice-presidente degli Stati Uniti, la prima nella storia americana. Anche nella tua storia c’è un primato sei stata la prima assessora regionale , all’atto della istituzione delle regioni nel 1970. Com’era allora la discussione sul ruolo delle giunte e dei consigli regionali? Oggi pare che il potere sia identificato nei soli Presidenti: un triste segno dei tempi?
“Come tu affermi le regioni a statuto ordinario nascono solo 22 anni dopo la Costituzione nella quale sono anche indicati i loro poteri e le loro competenze. Inoltre mi pare corretto fare una precisazione. Anche tutti gli Assessori dovevano essere consiglieri regionali e in una seconda votazione (questa volta da parte del consiglio regionale eletti assessori) conseguenza logica, anche gli assessori dovevano (salvo eccezioni) essere presenti alle riunioni del consiglio regionale che si tenevano 3 o 4 giorni alla settimana.
I poteri della giunta e del consiglio erano stabiliti tra l’altro dallo statuto regionale elaborato unitariamente da un comitato eletto da un consiglio regionale. Non fu una piccola impresa.
Occorreva garantire alla giunta il potere di governare ma al consiglio regionale e i singoli consiglieri non solo il potere di controllo, ma la garanzia di essere protagonisti presentando anche loro leggi.
Inoltre il presidente del consiglio regionale e alcuni presidenti di commissioni erano consiglieri di minoranza. Una garanzia democratica.
Del resto si era deciso che la regione Emilia Romagna doveva essere una regione aperta: aperta nel rapporto con il governo nazionale, con i singoli ministeri, con le altre regioni, con le forze sociali, le associazioni culturali e femminili del territorio.
Questo allungava i tempi delle decisioni, della legislazione regionale? Non ne sono convinta, sono invece convinta che un iter democratico non solo è corretto sul piano dei principi ma risponde positivamente con un maggiore margine di sicurezza alle richieste della comunità e ancor meglio ad anticiparle percependone gli umori.
I presidenti delle regioni avevano anche sul piano istituzionale meno poteri di quelli di oggi e meno visibilità certamente.
Penso però che sia l’autorevolezza più del potere un valore seppure occorra avere anche il potere per decidere; mi pare che ai miei tempi si fosse un po’ più protagonisti tutti: un beneficio per la democrazia, almeno a me pare.
Tutto bene allora prima di ora? Non sta a me giudicare aggiungo soltanto che non sono d’accordo quando si chiamano i presidenti della regione, governatori, non siamo un paese federalista”.
Siccome nel Recovery fund e nel Piano che sta apprestando il Governo, ora nella fase delle consultazioni con le parti sociali e i territori, tra gli obiettivi strategici vi è la sanità, in particolare la necessità di rafforzare quella territoriale, non hai l’impressione che rispetto alla spinta innovatrice degli anni 70, della quale sei stata una protagonista, ci sia stato un ripiegamento preoccupante?
“Mi riferisco alla mia esperienza di assessore regionale per 10 anni ai servizi sociali e per un po’ di tempo anche alla scuola. Si era discusso e deciso fin dall’inizio di organizzare la giunta per dipartimenti (es. sanità – servizi sociali – ambiente) i tre rispettivi assessori competenti dovevano elaborare insieme le leggi, discutere programmi. I confini fra l’intervento sociale e quello sanitario a volte non è ben definito, come fra quello sanitario e difesa dell’ambiente. Certo occorreva stare attenti a non ritenere sanitario ciò che richiedeva un intervento sociale e vigilare sull’ambiente per non stravolgerlo ma rispettarlo salvaguardando anche con questo la salute del cittadino. Non a caso tra l’altro nacque la medicina del lavoro.
A una visione unitaria aiutarono certamente la scelta compiuta di organizzare i consorzi socio-sanitari. Non fu né semplice né facile.
Esistevano tanti piccoli ospedali comunali che a volte erano poco più di un pronto soccorso; esistevano poi tanti enti come l’OMNI , le Opere Pie, con enormi patrimoni e diverse competenze, che agivano autonomamente, Enti di mutualità, ecc.Tutto questo prima ancora della nascita del servizio sanitario nazionale. Questi consorzi socio-sanitari sono stati un poco la madre delle future AUSL.
Tutto questo non è bastato.
Se si privilegia l’ospedale che certamente dà più prestigio, e non si è attenti alla sanità di base, alla prevenzione, alla diagnosi precoce (il che non è facile e anche meno appariscente) e forse meno apprezzata nel pensiero comune: si sbaglia.
Se non sei attenta a ciò che accade a livello di base può sfuggire l’esigenza di interventi che poi possono avere conseguenze anche serie.
Oggi è aperto un dibattito nazionale sulla sanità.
Attenti però. Il servizio sanitario nazionale come abbiamo in Italia che per principio è uguale per tutti va garantito, non messo in discussione; si tratta di correggere errori commessi, trascuratezze e certamente occorre più attenzione per i servizi di base.
Non ce la caveremo solo (e sarà già tanto) per il presente e il futuro immediato con il vaccino anti-virus, ognuno deve fare la sua parte; anche il singolo cittadino, il suo atteggiamento e il suo agire quotidiano può essere messo in causa”.
Ma torniamo alle donne, o meglio al femminile. Ci siamo commosse alle parole di Kamala Harris, grata a sua madre, approdata in America dall’India a 19 anni, che non avrebbe potuto immaginare la figlia vice presidente, ma credeva profondamente che questo in America fosse possibile. Ci siamo commosse quando ha ricordato tutte le donne, bianche, nere, native, i loro volti sconosciuti che hanno fatto la storia della democrazia e dei diritti e ha concluso “ io sto in piedi sulle loro spalle”. Noi invece abbiamo assistito alla mesta sudditanza di 2 ministre, le cui dimissioni sono state annunciate da un uomo ; poche parole nel loro intervento , tutto lo spazio al narcisismo maschilista del loro mentore. Perché credi che due donne intelligenti e capaci possano umiliarsi e umiliarci così?
“Non credo occorrano molti commenti a quanto abbiamo assistito nel corso della conferenza stampa a cui tu hai fatto riferimento. Posso capire quanto ti si chiede di dimetterti da una responsabilità istituzionale da parte del partito a cui appartieni, capisco meno il silenzio durante quella conferenza stampa.
Sei chiamata o chiamato a dire la tua, ad argomentare la scelta compiuta che richiede pur sempre una decisione personale. Quando si ha una responsabilità istituzionale si risponde innanzitutto ai cittadini. Non può essere comodo lo capisco ma è responsabile farlo. Mi sono commossa anche io alle parole di Kamala Harris e la mia mente è andata anche alle parole di Nilde Iotti quando è stata eletta prima presidente della Camera dei Deputati. Penso che come me milioni di donne italiane si sentivano rappresentate da Nilde in quel momento. Ma sappiamo anche quanto è costato a Nilde essere sempre sé stessa, dire e fare quanto pensava e faceva in ogni occasione sul piano politico o personale”.
“La mela sbucciata” sottotitolo “quando la politica è fatta con il cuore”: è un testo che hai scritto nel 2013. Lo hai dedicato alla nascita e affermazione del welfare in Emilia Romagna nel decennio 1970/80, quello delle grandi speranze, delle conquiste civili per le donne e per il Paese, ma quelli sono anche gli anni delle BR. Anche oggi si discute di welfare. La carenza assoluta di un sistema adeguato di welfare in buona parte del paese, al sud in particolare, è uno dei freni alla occupazione femminile, alla crescita comune, alla natalità. Perché non si riescono ad affrontare problemi annosi in questo Paese? Ha a che fare con una pratica del potere maschile, basata sul rapporto comando/obbedienza?
“In Italia abbiamo una buona legislazione per quanto riguarda il welfare. E’ stata una conquista spesso al femminile ma non bastano buone leggi, debbono essere applicate. Se sono disattese da parte di chi governa ai diversi livelli istituzionali, tenendo conto delle rispettive competenze, dobbiamo richiamarli per le loro inadempienze, ma per farlo si deve essere organizzati. Non c’è mai una conquista per sempre.
Inoltre anche una buona legge se non è interiorizzata da milioni di cittadini può essere acqua che scorre sul marmo. Mi viene da pensare a quelle 25 mila donne neo-mamme italiane che nell’anno appena trascorso si sono auto-licenziate. Una libera scelta? Non credo per tutte.
Sarò un poco all’antica ma sono convinta che senza un movimento organizzato femminile nelle forme più diverse, liquide finché si vuole, ma non… gassose, avremo donne che debbono prendere decisioni in solitudine anche contro i propri progetti di vita, faticando a non contrapporre la formazione di una propria famiglia e di avere figli con una scelta professionale. Abbiamo visto che non basta avere donne sindache, assessore, ministri, certo conta molto ma il potere maschile è duro a morire. Dovremmo saperci organizzare dal basso anche se non sarà facile”.
Infine, sei stata una donna nella politica e nelle istituzioni, sempre con le donne, senza la paura di risultare per questo indigesta. Com’è lo sguardo di Jone Bartoli sulla unica rivoluzione riuscita nel 900, quella delle donne, in dialogo tra emancipazionismo e femminismo?
“Non sono né storica né ricercatrice. Quanto dico più che da riflessioni molto meditate o da una lettura critica di documenti, o da un serrato confronto è espressione di un mio pensiero, di una semplice considerazione.
Non condivido l’opinione di chi afferma che alle donne di oggi, soprattutto alle ragazze, è tutto chiaro. Ritengo però che una riflessione ragionata critica del passato debba essere fatta.
Certamente non sbrigativa, con giudizi a priori o con lenti deformate che possono finire anche con il cancellare o non valutare attentamente un periodo storico di lotte femminili tanto interessanti. Riflessione utile anche per capire meglio l’esistente.
Cosa caratterizza questo esistente, quali complessi mutamenti sono avvenuti? Inoltre serve comprendere le ragioni delle scelte di oggi, la verifica della loro validità e tenuta nel momento in cui si agisce per affermarle. Serve conoscere i valori, le culture che ad esse presiedono sicché anche strappi o discontinuità evidenzino con nettezza i salti qualitativi compiuti nel passato, un passato che c’è stato, che vive nel presente, quanto e quali valori sono ancora attuali dopo tanti anni.
Le radici del nostro passato non vanno tagliate anzi possono essere di aiuto dando nuova linfa alle generazioni che sono o saranno protagoniste”.
Natalia Maramotti
Chi è Ione Bartoli
Prima Assessora della Regione Emilia Romagna nella prima giunta formata nel 1970, all’indomani della istituzione delle Regioni, con delega ai servizi sociali e per 2 anni anche alla scuola. Aveva già un lungo cursus honorum nella politica come dirigente dell’UDI e della Commissione Femminile del Partito Comunista del quale era una iscritta dal 1948. Fu per 10 anni consigliera provinciale dal 1960 al 1970, Presidente dell’Opera Nazionale Maternità Infanzia c.d. O.M.N.I dal 67 al 70. Dopo la decennale parentesi quale amministratrice regionale che la vide protagonista dal 1970 al 1980 , fu nuovamente consigliera provinciale ed Assessora della Provincia di Reggio Emilia dal 1980 al 1986 con delega alla scuola , formazione professionale e turismo. E’ stata cofondatrice e ha coordinato il Centro Velia Vallini , nato per promuovere iniziative politiche di genere. Amica di Nilde Iotti, esattamente come lei, è stata ed è sempre dalla parte delle donne per garantirne l’eguaglianza sostanziale.