ROMA – Il premier Draghi questa mattina alla Camera, accolto da un applauso, ha annunciato le dimissioni, poi è salito al colle per presentarle ufficialmente al presidente della Repubblica. Già si parla di elezioni il 2 o il 9 ottobre. Ma alla fine di una giornata “di follia”, come la riassume il segretario del Pd Enrico Letta, il non voto in Senato da parte non solo del Movimento 5 Stelle ma anche del “centrodestra di governo”, come hanno continuato a definirsi fino all’ultimo Lega e Forza Italia, è stata certificata la fine delle larghissime intese, quelle su cui Draghi non transigeva. Non c’è più quella unità nazionale che, nelle parole del premier in Aula, garantiva “legittimità democratica ed efficacia” all’esecutivo, un esecutivo che – ha sottolineato – non è passato attraverso il consenso popolare e quindi può governare solo con ampio sostegno parlamentare. La fiducia, tecnicamente, Draghi la incassa comunque da parte di Pd, Leu Ipf, il centro di Toti. Ma ottiene solo 95 sì a fronte di larga astensione. Lega e Forza Italia sono usciti dall’aula, il 5S, inizialmente deciso a fare lo stesso, è poi rimasto in gran parte per garantire il numero legale ma si è astenuto. Non sono bastati, insomma, i 5 giorni di decantazione che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella aveva imposto al premier prima di rendere definitive le dimissioni, annunciate perché era venuto meno quel “patto di fiducia” che Draghi ha riproposto al Parlamento. Ma i grillini sono stati irremovibili, mentre Lega e FI erano pronti al sostegno solo se i pentastellati restavano fuori dal governo, proposta irricevibile per il premier. Scelte comunque che avranno conseguenze: per Forza Italia già ieri, con Maria Stella Gelmini che ha annunciato di lasciare il suo partito.
Questa mattina Mattarella ha accolto le dimissioni di Draghi. Ma non è ancora chiaro cosa succederà formalmente al governo, che ha ottenuto una fiducia con tre delle principali forze di maggioranza che non hanno votato, decidendo così di non sfiduciare esplicitamente il premier con un voto contrario. Come da comunicato del Quirinale il governo resta in carica “solo per gli affari correnti”. Non è escluso, però, che Draghi possa addirittura varare la manovra ai primi di settembre, in attesa del voto politico. Nel pomeriggio il Quirinale ha convocato i presidenti di Camera e Senato “ai sensi dell’articolo 88 della Costituzione” che disciplina lo scioglimento delle Camere.
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