BOLOGNA – La sanità non può tornare a essere centralizzata, ma ovviamente bisogna continuare sulla strada della condivisione delle decisioni. Così Stefano Bonaccini, governatore dell’Emilia Romagna, e presidente della conferenza delle Regioni, in un intervista al quotidiano La Stampa, dove sul Mes è perentorio: “Ci serve”.
Ma prima di tutto, ha preso in analisi l’attuale situazione covid. “La geografia del contagio è costantemente mutata in questi mesi – ha detto Bonaccini – continuo a pensare che un forte impianto unitario, insieme a una flessibile differenziazione regionale, sia il modo più efficace per dosare l’intervento su un Paese lungo e stretto. Non credo che ricentralizzare le funzioni sia il modello più efficace. Credo invece si debbano rafforzare le sedi di condivisione, come la Conferenza delle Regioni e le Conferenze istituzionali (Stato-Regioni e Unificata)”.
L’esperienza, anche di questi mesi, ci dice che più che una contrapposizione astratta di prerogative paga la cooperazione tra i livelli istituzionali. L’esempio della sanità è emblematico: servono principi comuni, livelli essenziali delle prestazioni, o unità d’azione, soprattutto davanti a una pandemia. Ma se avessimo avuto una gestione statale della sanità qui in Emilia-Romagna sarebbe stato sicuramente peggio. I primi ad opporsi ad una centralizzazione sarebbero gli emiliano-romagnoli. Spero si possa uscire da una certa isteria del dibattito per entrare un po’ più nel merito”.
Per quanto riguarda l’intenzione di reintrodurre restrizioni risponde: “nulla in contrario a nuove misure, mirate, per prevenire adesso l’allargamento del contagio, per evitare di dover poi tornare a varare misure ancor più drastiche. Però attenzione: non c’è nulla di più inefficace che inasprire le misure laddove non si riesce a far rispettare quelle che già ci sono; usiamo rigore per far rispettare regole ragionevoli”.
Infine, le priorità sono chiare: una sanità pubblica più forte, scuola e formazione, transizione al digitale, svolta ecologica, lavoro e imprese. Bisogna però passare ai fatti. E di fronte a questi obiettivi, “sarebbe inspiegabile rinunciare ai 36 miliardi di fondi europei del Mes per la nostra sanità. Potremmo costruire nuovi ospedali, case della salute, medicina del territorio, assumere personale e acquistare strumenti diagnostici e di cura all’avanguardia. Come spieghiamo agli italiani che tutto questo non avviene solo per divisioni interne alla maggioranza?”.
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