BOLOGNA – Il lockdown ha fermato le auto e la gran parte delle aziende, ma non la produzione agricola e i riscaldamenti domestici. Offrendo all’Arpae un campo sperimentale sin qui inedito per capire come agire in futuro per ridurre gli inquinanti.
I dati riferiti al bacino padano durante i mesi della chiusura totale hanno visto gli ossidi e l’ozono ridursi dal 30 al 50%, le polveri sottili del 15-30% e l’ammoniaca di pochissimo. Numeri che hanno permesso di tracciare una distinzione netta tra i diversi sistemi di produzione dell’inquinamento atmosferico, certificando che la prossima frontiera della lotta sulla qualità dell’aria sarà non solo la lotta al traffico delle auto e dei mezzi pesanti, ma soprattutto quella alle cosiddette PM10 primarie, prodotte soprattutto dagli impianti di riscaldamento.
Lo studio realizzato da Life PrepAir ribadisce tuttavia che l’assenza di auto in strada ha avuto eccome un impatto sull’aria: nel periodo di chiusura totale, le polveri sottili si sono ridotte di oltre il 30% mentre l’ozono si è più che dimezzato. Gli sforamenti nella macroarea padana sono stati appena due contro le decine attese in mesi poco piovosi come quello di marzo, in cui l’insolazione costante ha prodotto molte polveri sottili secondarie attraverso processi fotochimici.
Altro dato che emerge con chiarezza dallo studio è che durante il lockdown si sono registrati gli stessi fenomeni in tutta la pianura padana: prova ulteriore che anche i futuri piani dell’aria dovranno coinvolgerne l’intero territorio e non differire comune per comune.
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