BOLOGNA – L’Emilia Romagna e il bacino padano, fino alla Slovenia, verranno sfruttati come una sorta di laboratorio a cielo aperto per conoscere e misurare nel dettaglio gli effetti che le misure di lockdown, previste per l’emergenza Covid-19, e la drastica riduzione del traffico hanno avuto sulla qualità dell’aria.
A questo riguardo, per valutare le eventuali relazioni tra pandemia e inquinamento atmosferico con un approccio epidemiologico complesso e non solo ambientale sulla popolazione esposta, Regione e Arpae hanno avviato un’ampia ricerca, nell’ambito del progetto europeo Prepair, che coinvolgerà l’area del bacino Nord-Adriatico.
Oltre all’ente di via Aldo Moro, lo studio coinvolge gli altri 18 partner in questo progetto Prepair (Regioni Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Valle d’Aosta, provincia di Trento e relative agenzie regionali per l’ambiente, le municipalità di Bologna, Milano, Torino, l’agenzia ambientale slovena Arso, Fondazione Lombardia per l’Ambiente Fla e la società consortile emiliano-romagnola Arter), la Rete Italiana Ambiente e Salute e il gruppo di lavoro regionale ambiente e salute, che unisce gli esperti di Arpae, dei dipartimenti di Sanità pubblica e dei diversi Servizi regionali.
Lo studio
La Regione Emilia Romagna ha deciso di promuovere uno studio per estendere le conoscenze maturate nell’ambito del progetto Prepair, incrociando i dati epidemiologici con quelli ambientali relativi alla concentrazione di inquinanti e alle variazioni delle emissioni in relazione ai consumi energetici, al traffico locale e autostradale e alle condizioni meteorologiche. Questi dati saranno utilizzati per valutare l’esposizione della popolazione agli inquinanti atmosferici nelle condizioni precedenti e durante il lockdown.
I risultati saranno valutati da un comitato scientifico, appositamente costituito, e resi disponibili per altre indagini a livello nazionale e internazionale. Un lavoro che nel suo iter prevederà anche il coinvolgimento prima di tutto delle Regioni del bacino padano, delle principali istituzioni di ricerca, del centro meteo e del mondo associativo ambientalista.
In questo contesto, anche Legambiente si è fatta sentire. “E’ evidente l’importanza dei Comuni nella riapertura, che dovrebbe avvenire nei primi giorni del prossimo mese e che rischia concretamente di vedere la mobilità privata congestionare le nostre città forse più di prima, con il distanziamento sociale che scoraggerà molti a utilizzare i mezzi di trasporto pubblico. L’importante sarà avere idee chiare per affrontare la fase in cui le città si rimetteranno in moto con progetti semplici e praticabili, perché il dopo non sia più come il prima”.
In particolare, l’associazione ambientalista ha proposta alcune sfide per la riapertura, “tutte concrete e attuabili nell’arco di pochi mesi, a risorse relativamente contenute e alcune già disponibili perché si tratta di attuare provvedimenti già contenuti in leggi dello Stato”.
“Dobbiamo fare in modo, mano a mano che la città ricomincerà a muoversi – hanno aggiunto da Legambiente – che i mezzi pubblici siano in grado di garantire distanze di sicurezza. Si dovranno programmare con attenzione le corse, bisognerà ripensare anche gli orari della città per evitare congestione e traffico nelle ore di punta. Sarà fondamentale un continuo e attento monitoraggio, sia dei mezzi che delle stazioni dove si dovranno introdurre controlli per contingentare gli ingressi oltre a garantire una quotidiana sanificazione”.
Poi, si dovrà rafforzare la sharing mobility. “Oltre alle auto (meglio elettriche), bici, e-bike, scooter elettrici e monopattini. I Comuni possono stringere accordi con le imprese per avere più mezzi e in più quartieri, a costi molto più contenuti. Serviranno risorse, ma il servizio potrà avere grande successo e in parte ripagarsi. In ogni caso, saranno soldi ben spesi quelli per potenziare il servizio (con controllo, sanificazione e ridistribuzione dei mezzi nelle diverse ore e luoghi delle città) perché avremo offerto mobilità sostenibile a buon mercato a milioni di cittadini”.
Si dovrà quindi aiutare i cittadini a rottamare l’auto e scegliere la mobilità sostenibile. “Le risorse ci sono e qui i sindaci devono fare pressione sul ministero dell’Ambiente che ha a disposizione i fondi del ‘programma buoni di mobilità’ previsti dal decreto Clima approvato a dicembre scorso. Sono previsti 75 milioni per il 2020 e 180 milioni di euro per le annualità successive. Si tratta di 1.500 euro alle famiglie che rottamano una vecchia auto che non può più circolare (Euro3 o più inquinante) oppure 500 euro per un vecchio ciclomotore, per acquistare abbonamenti e-bike e sharing mobility. Si potrebbe così subito dimezzare la spesa media per i trasporti per 250mila famiglie italiane (3.500 euro all’anno secondo l’Istat)”.
In ultimo, lo smart working. “L’esperienza di queste settimane – hanno concluso da Legambiente – ha dimostrato che il modo di lavorare può cambiare, riducendo spostamenti e organizzando riunioni a cui partecipare on-line, permettendo alle persone di sprecare meno tempo in auto o sui mezzi pubblici. Ai sindaci chiediamo di spingere questa prospettiva per riorganizzare il lavoro dell’amministrazione pubblica e di aiutare tutte le attività che scelgono di andare in questa direzione. Serviranno risorse, ma soprattutto idee nuove, ma esistono tutte le possibilità per premiare con vantaggi fiscali sia le aziende che i lavoratori che decideranno di puntare su soluzioni innovative di smart working e mobility management di comunità”.
“Interveniamo subito sulle misure che hanno una valenza sanitaria e ambientale al tempo stesso, che diano risposte cioè alle regole imposte dal Covid-19, ma si sappiano anche proporre soluzioni sostenibili che riducano le emissioni di gas serra e facilitino la vita e la mobilità delle persone. Con queste misure i lavoratori e le famiglie potranno muoversi da subito in maggiore sicurezza e libertà. Chiediamo quindi che le amministrazioni cittadine non si limitino all’ordinario, restituendoci le vecchie città”.