BRESCELLO (Reggio Emilia) – “La predisposizione di sacchetti di sabbia lungo l’argine avrebbe probabilmente impedito la tracimazione e quindi il collasso”. E’ un’affermazione piuttosto netta quella contenuta nella perizia chiesta dalla Procura di Reggio Emilia e che a maggio 2019 è stata depositata da Marco Mancini, ordinario di Costruzioni idrauliche al Politecnico di Milano.
Secondo il consulente, quindi, non solo c’erano gli elementi per avvertire per tempo la popolazione di Lentigione, che avrebbe potuto così mettere in salvo auto o mobili, ma una maggiore tempestività di reazione avrebbe probabilmente evitato l’esondazione stessa dell’Enza.
Ciò non toglie che ci fosse, sempre secondo la perizia, un mix di due fattori principali che gli inquirenti considerano cause tecniche dell’alluvione del 12 dicembre 2017: la scarsa efficienza delle casse di espansione di Montecchio e Montechiarugolo e un avvallamento per un tratto di argine tra i 50 e i 70 metri, proprio la parte che l’Enza, in più punti, ha sormontato e poi rotto. Questo abbassamento in gergo si chiama “corda molle”. Stando ai dati raccolti dal perito, senza la corda molle l’argine avrebbe avuto una capacità di smaltimento di 450 metri cubi di acqua al secondo, sufficiente, dice Mancini, a contenere la piena: la portata dell’Enza era di 390 metri cubi d’acqua al secondo alle 5.30 di quel giorno, l’ora del sormonto. Ma l’avvallamento avrebbe ridotto la capacità di contenimento a 380 metri cubi d’acqua al secondo.
In seguito a questi risultati, il sostituto procuratore Giacomo Forte ha inviato avviso di garanzia a tre funzionari dell’Aipo di Parma – i dirigenti Mirella Vergnani e Massimo Valente oltre a un tecnico della stessa agenzia – indagati per esondazione colposa.
Leggi e guarda anche
Reggio Emilia Brescello perizia lentigione sott'acqua esondazione Enza inondazione lentigioneLentigione sott’acqua, sindaco e comitati: “Responsabilità più ampie”. VIDEO