REGGIO EMILIA – Veneziana di origini, Adriana Albini è la prima italiana eletta nel Board of Directors dell’American Association for Cancer Research”, una delle associazioni oncologiche più antiche e prestigiose al mondo. E’ anche un po’ reggiana: infatti dal 2012 al 2015 è stata direttrice della Struttura Complessa “Laboratorio di Ricerca Traslazionale” dell’Irccs del Santa Maria Nuova per quanto riguarda le tecnologie avanzate e i modelli assistenziali in oncologia, e direttrice del Dipartimento “Infrastruttura Ricerca e Statistica”. E’ tuttora componente del Chapter Reggio Emilia-Modena dell’Associazione Ewmd, network europeo tra donne professioniste e imprenditrici. Attualmente è professoressa di prima fascia nel Dipartimento di Medicina e Chirurgia dell’Università Bicocca, è a capo del Laboratorio di Biologia vascolare dell’Irccs MultiMedica e direttrice scientifica della Fondazione MultiMedica Onlus. Si occupa di ricerca oncologica, in particolare di microambiente tumorale e angiogenesi, della tossicità cardiovascolare di farmaci antineoplastici e di prevenzione farmacologica e con derivati alimentari, argomenti su cui ha pubblicato più di 320 pareri scientifici. Campionessa di scherma, ha vinto il bronzo alla Coppa del mondo dei veterani 2018 e l’argento alla competizione europea di scherma dei veterani 2015: è dunque una donna di cui l’Italia può essere orgogliosa.
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Adriana Albini: unica italiana tra le 100 donne più influenti del mondo. Cominciamo con una domanda un po’ banale, ma legittima: che effetto fa entrare nella storia?
“L’ho percepito subito come un riconoscimento corale all’impegno delle donne ricercatrici, non solo nel dedicarsi allo studio, ma a battersi per veder valutato il merito e per l’opportunità di essere autorevoli al di là delle discriminazioni di genere. Certo un momento emozionante.
Sei stata molto intervistata dopo questa designazione. Leggere le tue risposte alle interviste deve confortare tutte le donne, trapela la tua profondissima coscienza di essere donna, di essere arrivata non solo per te stessa ma per il tuo genere di appartenenza: non è affatto scontato. Possiamo dire che continui a dichiarare ed agire la tua volontà di destrutturare gli stereotipi e di batterti per la parità di genere nella ricerca?
“Ho iniziato a battermi per la parità nella ricerca, non solo, per le carriere e la leadership femminile, aderendo all’associazione americana ‘Women in Cancer Research’ ed entrando a far parte del direttivo.
Già 18 anni fa, dal 2002, organizzavamo una serie di corsi di formazione intitolati ‘Women in Cancer Research Leadership Development Workshop’.
Mi è sempre piaciuta la riflessione sul fatto che per noi è più difficile, meno scontato, e questo è vero non solo in Italia, tanto è vero che il mio ‘femminismo’ nella ricerca è nato proprio negli States”.
Ogni donna deve sentirsi testamento del lascito di quelle che l’hanno preceduta e, come dice Monica Lanfranco, una studiosa femminista, Avvocata del futuro di tutte. Ti faccio due nomi di premi Nobel impegnate con coraggio e intelligenza nella scienza e nella società: una è Rita Levi Montalcini, la cui eredità scientifica, filantropica e persino politica è innegabile, l’altra è Irene Joliot-Curie, figlia primogenita di Marie e Pierre Curie, scienziata femminista, antifascista e pacifista. Senti di poterle annoverare tra le tue antenate? Ce ne sono altre?
“Sicuramente mi ha molto toccato il forte messaggio a favore delle donne, non solo della scienza, di Rita Levi Montalcini. L’ho conosciuta, sono stata a casa sua a Roma, poi è venuta da noi a Genova e abbiamo pranzato assieme diverse volte, ci sentivamo per telefono, ho letto tutti i suoi libri, è stato davvero un onore speciale per me poter parlare con Rita ed avere il suo incoraggiamento, era una persona straordinaria, entusiasta anche da centenaria e molto generosa.
Poi c’è un’altra premio Nobel che ho avuto il piacere di conoscere, Elizabeth Blackburn, che ha scoperto il segreto dell’eterna giovinezza delle cellule tumorali. Una donna di grande simpatia e competenza”.
Sei una donna autorevole ed autoriale, cioè molto autonoma anche nel tuo prendere parola. In una recente intervista hai affermato “le donne competenti danno fastidio, soprattutto ai piani alti”. C’è forse anche una esperienza personale in questa tua verissima constatazione?
“Ho avuto molte soddisfazioni nella vita professionale, una carriera precoce, dopo un 110 e lode, ho lavorato subito dopo la laurea all’Istituto Max Plack di Biochimica a Monaco di Baviera, poi sono stata assunta come Associato dall’Istituto Superiore di Sanità americano a 29 anni e infine come direttore di laboratorio in Italia a 32. Ho avuto però anche tanti momenti difficili, tante porte aperte ma anche numerose chiuse in faccia sul più bello. Non è stato facile. Meno male che ho sempre avuto un grande supporto umano dagli amici e dalla famiglia.
La scienziata Adriana Albini è in realtà una donna estremamente poliedrica; nel tuo ricchissimo curriculum accanto alle competenze in campo scientifico ai molti riconoscimenti, alle pubblicazioni, allo sterminato numero di citazioni, c’è spazio per le tue competenze letterarie. Hai scritto racconti, poesie e romanzi. Poi c’è la scherma, che pratichi a livello agonistico, collezionando anche in questo caso medaglie di tutti i metalli, oro compreso. Credi che ciò che sei diventata sia il frutto dell’approccio dei tuoi genitori per la piccola Adriana?
!Sicuramente ho avuto due genitori molto attenti, con cui ho sempre parlato moltissimo. Mia mamma era professoressa di matematica e mio Papà un illustre grecista. Hanno sempre creduto nelle potenzialità mie e di mia sorella. Fu mio padre che mi incoraggiò allo studio della chimica, nonostante la mia passione anche per la scrittura, e mia madre che mi spinse ad accettare l’incarico in Germania e a partire per l’ignoto a 25 anni.
Un ruolo importantissimo lo ha la scherma che ho iniziato a 16 anni, abbandonato a 25 anni per fare la ricercatrice e poi ripreso come “Master” circa 25 anni dopo”.
Parliamo di TIWS, il club delle migliori scienziate italiane, promosso da Fondazione Onda, da te presieduto, nato da una tua idea. Perché hai pensato di creare questa aggregazione?
“Nel 2016, dopo aver monitorato per un paio di anni il sito via-academy (un censimento degli scienziati italiani di maggior impatto in tutto il mondo, misurato con il valore di H-index), ho voluto mettere in evidenza le ricercatrici in campo biomedico con un alto h index, l’indicatore che racchiude sia la produttività sia l’impatto scientifico del ricercatore, nonché la sua continuità nel tempo, e che si basa sul numero di citazioni per ogni pubblicazione (io stessa sono in questa lista con h index di 90). Per il Club sono state selezionate le ricercatrici con H-index pari o superiore a 50.
E’ nato così il Gruppo delle Top Italian Women Scientists che riunisce le eccellenze femminili, donne che si contraddistinguono per un’alta produttività scientifica e che hanno dato un sostanziale contributo allo sviluppo in campo biomedico, nelle scienze cliniche e nelle neuroscienze.
Onda (www.ondaosservatorio.it) è stata preziosissima nelle sue numerose attività e la fondazione e promozione, da parte della Presidente Francesca Merzagora, del nostro club è una garanzia di serietà e successo”.
Ho partecipato ad un evento organizzato da Ewmd, associazione di genere, a Reggio con la presenza di diverse di voi Tiws: ascoltandovi ho sentito confermata la convinzione che, come nella scienza, in tutti i campi dell’agire umano la competenza debba essere il criterio per selezionare la classe dirigente. Siamo in un tempo di grandi sfide mondiali, addirittura per la sopravvivenza della specie. Credi che se ci svegliassimo una mattina e fossero in maggioranza le donne a governare il mondo si potrebbe sovvertire il criterio selettivo delle classi dirigenti…passando da quello che oggi premia, ossia essere omologati e ossequiosi rispetto a chi è al potere, a quello che vedo indicare dalle TIWS, ossia essere competenti e autonome?
“Per due giorni a Reggio Emilia, l’1 e il 2 ottobre, per il secondo anno, le Top Italian Women Scientists (Tiws) si sono riunite per un meeting di approfondimento scientifico e di dialogo grazie a collaborazione con European Women’s Management Development (Ewmd) di Reggio e Modena.
Le socie di Ewmd, di cui faccio parte, si battono per riconoscere, includere e valorizzare le diversità di genere per aprire prospettive che hanno al centro la persona, i suoi diritti, le sue potenzialità, le sue esigenze.
Abbiamo riflettuto sul mondo della ricerca, sul ruolo e la posizione delle donne in esso coinvolte, sulle prospettive di sviluppo della medicina con un focus particolare sull’attuale pandemia che ci vede coralmente impegnate ognuna nel proprio campo. L’evento è stato un’occasione di confronto su ricerche di alta specializzazione su COVID-19, ma anche un’iniziativa per promuovere i percorsi di studio scientifici tra le giovani donne, grazie ad una sessione di mentoring che abbiamo fatto con le studentesse dell’Università”.
Natalia Maramotti
Reggio Emilia intervista ricercatrice Adriana Albini donne d'emilia Natalia Mamotti